Inserito come domanda in una recente puntata del programma televisivo “L’eredità” su Rai1, il canazzo siciliano è un insieme di ortaggi e verdure cotte; può essere preparato in svariati modi, ma si avvicina di più alla tradizione la preparazione palermitana.
Canazzu è il
nome di uno dei piatti vegetariani della cucina estiva palermitana,
meno conosciuto della celebre caponata e della
straordinaria peperonata, ma altrettanto delizioso.
L’etimologia di questa parola
ha riscontro soltanto nel dialetto palermitano e questo fa ritenere che il
canazzu abbia avuto come luogo di origine il territorio palermitano.
In estate i piatti vegetariani la fanno da padrone nella
cucina palermitana. I piatti più conosciuti, sono quelli dalla precisa
identità, preparati con gli stessi ingredienti da sempre. Nella caponata e
nella peperonata, gli ortaggi, rigorosamente fritti, sono arricchiti da
una salsa agrodolce, antica memoria della cultura araba che
caratterizza molti piatti panormiti. Però quella del canazzu è
un‘altra storia, nasce come un piatto dal procedimento meno “esatto” e più
flessibile nell’accogliere ingredienti vegetali di vario tipo. Preparato con
quello che si trovava nell’orto “‘u canazzu” è chiaramente un piatto di
origine contadina.
A Palermo è facile sentire la parola canazzu,
ma sempre insieme ad altre che ne ampliano e specificano il significato. Il
termine è usato da solo unicamente quando ci si riferisce a questa pietanza.
Con l’espressione “canazzu ri bancata”, sono appellati comunemente
i cani randagi che mendicano il cibo appostandosi tra i banchi dei mercati.
Sono invece chiamati “canazzi ri mannara” i grossi cani da
pastore, bastardi anche questi come i primi e ugualmente dall’aspetto rozzo e
poco elegante. I due termini, ma più il primo in verità, sono correntemente
impiegati proprio come metafora di uomini rozzi e volgari.
In ultima analisi la parola canazzo, riferita
al piatto, indica proprio un piatto brutto a vedersi, fatto di “cosi
‘mmiscati” (cioè mescolando svariati ingredienti), proprio come un
bastardo “canazzu ri bancata”.
Una
ratatouille alla palermitana.
Gli ingredienti che compongono ‘u canazzu possono
sembrare quelli di una ricca peperonata: melanzane, peperoni, cipolle, patate e
pomodoro. La differenza pero c’è e sta nella cottura degli ortaggi e nella
totale assenza del sapore agrodolce.
Se nella peperonata e nella caponata si procede
ordinatamente friggendo le verdure, un tipo alla volta, amalgamando tutto alla
fine, nel canazzo si procede in modo casuale. Gli ortaggi
vengono mescolati tra loro e cotti alla rinfusa, in altri termini “a
canazzu” (giusto per non essere volgare). Si tratta di un criterio
simile alla ricetta tradizionale della ratatouille. Dopo tutto la parola
in lingua provenzale significa rimestare, mescolare.
‘U
canazzu di casa mia.
Nella preparazione tradizionale del canazzo gli ortaggi
si tagliano a tocchetti e si buttano in un tegame tutte insieme e si
soffriggono con l’olio. Poi si copre il tegame col coperchio e si continua
questo tipo di cottura che in dialetto chiamiamo “a tuttu rintra” (tutto
dentro). Tuttavia pur essendo questa una delle note distintive della pietanza
(l’altra è l’assenza dell’agrodolce) a casa preferiamo una versione dove le
verdure vengono soffritte insieme e dopo si completa la cottura nel forno.
Nel canazzo di casa mia finiscono, oltre
il classico tris: patate, peperoni e melanzane,
anche pomodorini e zucchine di vario tipo. Rispettando il tris come base, in
aggiunta si usa ciò che è disponibile al momento della preparazione. Altra cosa
non prevista dalla ricetta originale è l’uso di alloro e cumino per profumare
la portata. L’aggiunta di menta e basilico sono invece canonici della ricetta
tradizionale.
Un’ultima cosa, ho letto in alcune ricette l’uso
dell’agrodolce. Se vuoi trasformare il piatto in una “peperonata arricchita”,
fai pure, ma la differenza tra i due piatti è proprio l’assenza dell’agrodolce.
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